Ultima modifica: 11 Marzo 2020

SALTO FUORI DALLA CARTELLA giorno4

Oggi una riflessione per noi educatori, genitori ed insegnati insieme…

Ieri sera guardavo le bambine giocare e pensavo che, al netto delle difficoltà, dell’ansia, delle limitazioni, della preoccupazione per i nostri cari più anziani, del prezzo per la contrazione dei consumi che pagheremo quando tutto sarà passato, mi sembra ci siano due opportunità che questo momento ci sta regalando, alle quali forse dovremmo prestare maggiore attenzione.
La prima è l’improvviso privilegio del tempo.
Abbiamo – pur con tutti i limiti e le difficoltà – un po’ più tempo da passare con i nostri figli a casa da scuola, con i nostri partner, con noi stessi. Costretti a una quotidianità domestica espansa, in orari insoliti, a lavorare meno o a lavorare in maniera diversa, possiamo darci l’occasione di riflettere su quanto spesso trascuriamo quel che abbiamo, presi dalla sfiancante necessità di andare e produrre. Quant’è che non facciamo una torta con i nostri bambini, quanto che non facciamo una partita a “Scarabeo”, quanto che invece di chieder loro: “Com’è andata a scuola?”, non chiediamo invece: “Come stai?”. Quanto che non lo chiediamo a noi? Forse anche questo ci spaventa, il fatto che ora abbiamo meno alibi per non parlarci, per non fare le domande giuste. Chissà che un virus, costringendoci ad aumentare le distanze fisiche, non ci aiuti invece ad accorciare quelle umane o affettive. Sarebbe bello.
La seconda è quella di riscoprire che i nostri comportamenti generano conseguenze. Ricordarci che siamo tutti parte della stessa pianta, viviamo nello stesso bosco, mangiamo lo stesso cibo, respiriamo la stessa aria. Ecco perché la logica dell’innalzamento dei muri, che certi politici cavalcano, è solo una bugia. Non si tratta né si è mai trattato di “tener fuori”, ma di imparare a vivere meglio qui sopra. Ci illudiamo di essere al riparo nelle nostre tane, ci muoviamo all’interno dei nostri recinti, ma abitiamo tutti lo stesso suolo. Siamo fatti della stessa carne.
Forse, al termine di tutto, magari scopriremo che questa crisi è arrivata per portarci una lezione importante: il pronome “io” è la stanza dalla quale siamo abituati ad affacciarci sul fuori. Ma esiste un altro pronome assai più utile che è: “noi”. Una stanza molto più grande in cui non siamo più solo individui, ma società. Gli “io”, alla fine, non servono che a questo, sono mattoni di un luogo che si può costruire solo insieme. Chiedete ai vostri padri, alle vostre madri, ai vostri nonni, cosa fu il dopoguerra, quando le persone erano abituate a unire gli sforzi, a sommare le braccia, a sentirsi parte di un percorso collettivo, a edificare inseguendo un obiettivo comune. Quant’era diverso quel clima, quello spirito, rispetto al “tutti contro tutti” cui siamo abituati, al punto da considerarlo ormai il nostro paesaggio naturale.
Poi, volete restare mattoni, rivendicare il vostro essere mattoni e basta? Va bene, ciascuno per sé sceglierà il proprio orizzonte e il proprio sfondo.
Ma quant’è più bello essere casa, riscoprirsi famiglia, diventare mondo.

 

Matteo Bussola

Nella sua vita passata era architetto, a trentacinque anni decide di cambiare tutto.
Oggi fa il papà di Virginia, Ginevra e Melania e per lavoro disegna fumetti.
Quando è in debito d’inchiostro, scrive.
Ha un profilo Facebook seguito da migliaia di persone sul quale, da qualche anno, pubblica racconti, riflessioni, brevi cronache di vita familiare.

 

Un GRANDE GRAZIE anche a voi che fate di tutto per stare accanto ai vostri figli in questo momento speciale!




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