SALTO FUORI DALLA CARTELLA giorno46
Una riflessione e un… “compito” anche per voi genitori!
Vi proponiamo un articolo di Luigi Ballerini, psicoanalista e scrittore italiano, che parla sicuramente a noi insegnanti, ma anche a voi genitori e ci provoca sull’importanza delle relazioni e della scuola.
Noi insegnanti ci interroghiamo quotidianamente su come stare con i ragazzi in questo momento particolare, ma oggi lo chiediamo anche a voi: come state? come vivete questo momento particolare? come lo vivete con i vostri figli?
Ascoltiamo volentieri le riflessioni che vorrete inviarci a primarias.stefanolecco1@gmail.com
Il “fattore umano” della scuolaIn queste settimane di lockdown è venuto a mancare un luogo abitato, scandito da tempi e normato da regole. Ma si può ancora fare in modo che la scuola accada e che con essa la giornata sia scandita da appuntamenti cui essere convocati, capaci di sollecitare il pensiero e mettere in moto il soggetto
di LUIGI BALLERINI
Chissà come si divertivano. Titola così un racconto di Isaac Asimov ambientato nel 2157. L’autore immagina un dialogo fra l’undicenne, Margie, e suo fratello Tommy, tredicenne, a casa, mentre aspettano di iniziare le lezioni. Il ragazzo sta sfogliando un libro cartaceo che desta la curiosità della sorella per il fatto di avere parole statiche, così diverso dal loro telelibro che invece contiene migliaia di testi. Tommy è venuto anche a sapere che il loro bisnonno non aveva un robot-maestro a casa, ma che a quell’epoca tutti i ragazzi si radunavano in un posto chiamato scuola. Un posto scomodo che si perdeva tempo per raggiungere e per giunta abitato da imperfetti insegnanti umani che ne sapevano molto meno degli attuali maestri meccanici. La sorellina, nella chiosa del racconto, mentre in sala è alle prese con il robot di matematica è sorpresa da un pensiero: “L’insegnante meccanico faceva lampeggiare sullo schermo: – Quando addizioniamo le frazioni 1/2 + 1/4… Margie stava pensando ai bambini di quei tempi, e a come dovevano amare la scuola. Chissà, stava pensando, come si divertivano!”.
Di là dall’intuizione di Asimov di immaginare nel 1954 il lettore di ebook e certe tentazioni come l’homeschooling, viene suggerito bene il quid costitutivo della scuola: il fattore umano. Dal suo passato, proiettandoci in un futuro attualizzato dalle nuove circostanze, Asimov ci richiama il proprio della scuola: essere innanzitutto un luogo di rapporto. È questo ciò che improvvisamente è venuto a mancare in queste settimane, un luogo abitato, scandito da tempi e normato da regole che lungi dall’essere costrizioni e restrizioni sono le forme perché la vita scorra in ordine e in modo fruttuoso. All’improvviso è venuta meno una tale occasione di rapporto con i pari e con gli adulti, assieme a tutti gli altri “fuori” così preziosi per la vita di un adolescente: non esiste infatti ambito che ne sia rimasto escluso, da quello sportivo a quello ricreativo a quello della coltivazione delle diverse passioni. Tutti chiusi dentro, in un dentro che c’è sempre stato, ma mai in modo così propriamente esclusivo e prepotente.
Quello che il lockdown ha fatto ai ragazzi e alle loro famiglie è stato in fondo evidenziare e talora far esplodere ciò che in realtà era già presente. Dove le cose andavano bene, stanno continuando a farlo, magari in modo più zoppicante o altrimenti più soddisfacente, ad esempio con riscoperte fratellanze e sorellanze. Dove la vita invece era già faticosa, al limite, tenuta all’equilibrio dalla possibilità di avere vie di fuga, tutto è diventato più difficile, fino a insopportabile. La stessa dinamica si vede applicata alla scuola: gli adolescenti che già lavoravano in classe e a casa per lo più continuano a farlo, chi non lavorava o si applicava poco c’è il rischio che abbia smesso definitivamente.
La scuola in presenza era, è, democratica: lo è nella sua obbligatorietà, lo è nel suo cercare di porre tutti gli studenti nelle medesime condizioni, quantomeno logistiche e di fruizione. La scuola a distanza non lo è affatto, o non lo è ancora; piuttosto stiamo toccando con mano quanto sia lontana dall’equità. Il cosiddetto digital divide ha realmente diviso la popolazione scolastica: non c’è parità nella disponibilità dei dispositivi digitali, nella possibilità di connessione, nelle abitazioni e nemmeno nelle situazioni familiari. Gli insegnanti sanno bene che non tutti gli studenti si connettono alle lezioni e che alcuni lo fanno solo in audio e non in video.
Prima di trarre conclusioni affrettate, però, conviene fare alcune considerazioni: qualcuno sta davvero facendo il furbo, si connette per fare presenza, poi toglie il video e gioca con la consolle portatile o continua a dormire, ma altri provano un senso di vergogna, sono a disagio nel mostrarsi in video ai compagni, ritengono che la loro casa sia impresentabile, temono imbarazzanti intrusioni di genitori e fratellini, altri ancora non riescono e basta, perché avere davanti una persona che guarda negli occhi e richiama all’attenzione non è come stare davanti a uno schermo con uno che a sua volta fissa uno schermo.
Insegnare oggi, a distanza, chiede di tenere conto di tutte queste possibili interferenze. Siamo in qualche modo anche costretti a tornare al cuore della scuola, che temporaneamente smaterializzata come istituto ha bisogno di restare come istituzione, preziosissima istituzione: la scuola per un giovane è innanzitutto rapporto, rapporto con i pari e rapporto con adulti che lo mettono al lavoro mettendosi a loro volta al lavoro. C’è una reciprocità che non va persa a distanza. E come tutti gli incontri, la scuola è innanzitutto fatta di appuntamenti. Mai come in questi tempi ce n’è bisogno. Appuntamento significa che qualcuno mi invita, che io aderisco, mi preparo per esserci e quando ci sono contribuisco in prima persona. La prima urgenza oggi è garantire che la scuola accada e che con essa la giornata sia scandita da appuntamenti cui essere convocati, capaci di sollecitare il pensiero e mettere in moto il soggetto. Non possiamo solo preoccuparci della didattica e dei famigerati programmi che peraltro non esistono più da almeno dieci anni, è veramente il tempo del rapporto. Per questo la scuola a distanza non è assegnare compiti o mandare video preregistrati, è innanzitutto esserci. Esserci perché i ragazzi continuino a imparare, in un percorso dove sono accompagnati in una dinamica di impegno e responsabilità condivise.
Non possiamo permetterci di lasciare dei giovani indietro, dobbiamo cercare soprattutto chi si perde e non risponde. Oggi personalizzare l’insegnamento significa anche andare a cercarli, ascoltarli, identificare i punti di difficoltà personali e familiari, esercitare la creatività per trovare le condizioni più favorevoli perché tornino a darsi scuola e apprendimento. Moltissimi insegnanti si stanno già muovendo così, non per generosità o eroismo, ma in quanto professionisti che tengono al loro lavoro e alla riuscita dei propri studenti. A loro vada tutto il nostro riconoscimento, che tendiamo così a lesinare in tempi normali. Anch’essi, però, non devono essere lasciati soli. Professionalità e passione per potersi esprimere al pieno hanno bisogno di idee e strumenti adeguati alle mutate condizioni. Torneranno di vantaggio anche a medio termine, quando per ripensare una nuova normalità dovremo necessariamente riconsiderare che cosa abbiamo imparato nell’emergenza.